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Il borghese Heinrich Karl Marx e Friedrich Engels, figlio di un ricco industriale tessile luterano, nel 1848 redigono il Manifesto del Partito Comunista in cui viene riconosciuta la grande positività della rivoluzione borghese, come dimostrato, a titolo di esempio, dalle frasi tratte dal Manifesto che di seguito riporto.
“La borghesia ha svelato come la manifestazione della forza brutale, che la reazione ammira così tanto nel medioevo, abbia il proprio opportuno complemento nella pigrizia più indolente. Ha dimostrato per prima ciò che può fare l’attività umana. Ha compiuto ben altri portenti delle piramidi egizie, degli acquedotti romani e delle cattedrali gotiche, ha condotto ben altri movimenti delle migrazioni di popoli o delle crociate. La borghesia, attraverso lo sfruttamento dei mercati mondiali, ha dato un carattere cosmopolitico alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto, con grande dispiacere dei reazionari, il terreno nazionale sotto i piedi dell’industria”.
Evidentissimo quindi il carattere sinergico dei due materialismi, marxista e capitalista, nel perseguire l’obiettivo mondialista, inteso come marginalizzazione, e quindi superamento, degli Stati-nazione, ponendo al centro l’economia mondiale sempre più libera da vincoli.
L’applicazione del marxismo su scala quasi mondiale nel corso del ventesimo secolo si è quindi declinata in innumerevoli versioni (Cina, Urss, Vietnam, Corea ecc..), tutte fallimentari, nel campo del miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, rispetto alla condizione operaia nell’Occidente del libero mercato. Il comunismo ha avuto tra i principi cardine l’abolizione della proprietà privata, che lo ha enormemente svantaggiato nella capacità di creare ricchezza rispetto al ben più efficiente sistema economico occidentale; uno stato sociale robusto, come auspicabile, ha bisogno di una economia forte.
Dopo il 1989 con la caduta dell’Urss è apparso subito evidente che il capitalismo internazionale avrebbe avuto mano libera su quasi tutto il pianeta, però, e quì è l’aspetto centrale, intendeva farlo non rinunciando a quelle componenti del marxismo estremamente funzionali al disegno mondialista, inteso come progressiva e virulenta corrosione della sovranità degli Stati nazionali il cui elemento centrale è rappresentato dalla difesa dei confini che garantiscono sovranità.
Lo strumento odierno, avallato sia da marxisti che da liberisti, che consente di appalesare nelle menti la superfluità del concetto di confine è costituito dal considerare inevitabile, e quindi normale, l’immigrazione massiva (quando invece ciò è una volontà politica), meglio ancora se di popoli culturalmente lontani da quelli occidentali, con la conseguenza di trasformare il popolo in moltitudine, per usare un termine impiegato da Antonio Negri e derivante da Spinoza.
La moltitudine è costituita in gran parte da individui non legati da un’appartenenza ad un territorio, non ha usi, costumi, religione e consuetudini similari, non costituisce quindi un corpo organico della nazione e difficilmente potrà percepirsi come una comunità di destino.
A tal riguardo è emblematico quanto sta accadendo sul confine sud degli Stati Uniti, sempre più permeabile all’immigrazione illegale dal Messico e altri Paesi.
Il contrasto all’immigrazione illegale tentata da Donald Trump è stata fortemente ostacolata da molti interventi di giudici e dal Partito Democratico che forse vede nell’immigrazione lo strumento adeguato per ottenere un futuro consenso, ovviamente a discapito dell’America più conservatrice. Come riportato (di seguito in corsivo) dal libro di Claudio Taddei (La guerra a Trump come patologia dell’Occidente), nell’aprile 2019 i Democratici alla Camera hanno approvato l’impunità per le città e le contee che consentono agli immigrati illegali di votare. Tom Fitton, il presidente della benemerita e credibile Judicial Watch, afferma che nelle midterm del 2018 hanno votato circa 900 mila illegali e che, oltre che in California, l’effetto è massiccio in grandi Stati come Pennsylvania, Colorado e Illinois, tanto che il voto illegale è divenuto, dice Fitton, “la questione di diritti civili del nostro tempo”. Alla luce di quanto esposto sopra appare evidente il risvolto elettorale dell’immigrazione illegale. Il Partito Democratico americano sta anche tentando di modificare il sistema elettorale USA, in modo da aumentate l’incisività degli Stati più popolosi a discapito degli Stati rurali, notoriamente non certo avanguardie del progressismo, e quindi piuttosto scomodi per i globalisti. Mentre l’Occidente subisce una forte immigrazione da paesi africani e asiatici, Claudio Taddei, ci ricorda nel suo libro La guerra a Trump come patologia dell’Occidente “il Sudafrica, dove i proprietari di terre, quasi sempre bianchi e discendenti dei boeri olandesi e dei farmers inglesi che misero le basi dello Stato e che ne fondarono l’agricoltura, sono non solo espropriati della loro terra, ma aggrediti, in molti casi resi oggetto di violenze o uccisi”. Di fronte a ciò, sempre Claudio Taddei e sempre nel libro sopra citato scrive: “La salvezza è l’esodo. Ma attenzione: i media, o l’Onu, o l’Unione Europea, che si preoccupano se l’invasione dell’Europa e degli Usa da parte dei migranti economici dà segni di flessione, non vogliono parlare di asilo politico per i farmers sudafricani”.
Purtroppo l’elezione di Joe Biden negli Usa non può che peggiorare la situazione, e per quel che mi riguarda, anziché congratularmi con kamala Harris come ha fatto Alexander Soros, rivolgo le mie speranze verso la recente nomina alla Corte Suprema di Amy Coney Barrett, una donna fortunatamente piuttosto lontana dalla cultura progressista che da decenni sta facendo deragliare l’intero Occidente.

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