CASTIGNANO – Parlando di chilometro zero, oggi s’intende dare un valore aggiunto a tutto ciò che è attinente all’enogastronomia in quanto a sostenibilità, attenzione all’ambiente, controllo della filiera e incidenza positiva sulle micro economie locali. Questo comportamento virtuoso in realtà è un ritorno alle origini. I nostri antenati, parliamo di poco più di un secolo fa, dovevano per forza trovare prodotti intorno a loro poiché quelli provenienti dall’esterno erano molto più cari, data l’alta incidenza dei costi di trasporto. Anche i tempi dell’approvvigionamento gravavano sui costi, poiché in genere erano piuttosto lunghi. Ciò aveva conseguenze sulla qualità stessa delle derrate che si deteriorava facilmente cosa che faceva lievitare i prezzi. Era quindi usuale e molto più logico arrangiarsi con ciò che si trovava nei dintorni. Questo tipo di adattamento ha creato ciò che oggi chiamiamo tipicità: qualcosa che nasce in un determinato territorio, con materie prime in esso coltivate o allevate, con manodopera locale qualificata dalla tradizione del saper fare e non di rado in microclimi particolari o comunque condizioni ambientali favorevoli e raramente replicabili in altri ambiti. E’ il caso di una particolarità marchigiana poco conosciuta: l’anice verde di Castignano.
Questa pianta, originaria del Medio Oriente era già abbondantemente conosciuta da egizi, greci e romani ed è oggi così diffusa nell’area mediterranea da essere considerata spontanea. Nelle Marche, l’anice verde comincia a essere coltivato già nel ‘600 soprattutto nel Piceno a Castignano, Offida, e Appignano del Tronto. In queste zone di alta collina che godono di un’esposizione soleggiata e di correnti fresche si trovano i calanchi, terreni argillosi e ben drenati le cui sommità sono particolarmente adatte a questa coltura nonostante si tratti di zone sottoposte a un elevato rischio di erosione. In un dato momento, qualcuno trovò il modo di sfruttare l’abbondanza di anice verde in campi fino ad allora non esplorati. Nasce così il mistrà, liquore distillato dai semi di questa pianta che ancora oggi è tradizionalmente prodotto in piccole quantità per il consumo famigliare. Date queste premesse era quindi piuttosto normale che a un certo punto, parliamo della seconda metà dell’ottocento, tipi piuttosto intraprendenti pensassero di perfezionare la produzione su scala industriale e avviare la commercializzazione anche a livello internazionale dei distillati a base di anice verde di Castignano. Nascono così i liquori tipici che i marchigiani adorano e che non mancano mai a fine pasto in tutte le case: anisetta, anice secco, sambuca, anisina, mistrà, assenzio per non fare nomi. Rimane sempre l’uso atavico dell’anice nel settore dolciario della gastronomia tipica marchigiana: confetti, anicini, ciambelle di San Giuseppe, passeretti dell’Immacolata e l’insuperabile, inarrivabile pane di mosto che si consuma tradizionalmente nel periodo della vendemmia. Se andate a Castignano, magari durante la bella manifestazione medievale “Templaria festival” non mancate di assaggiare il gelato all’anice verde e la “Pimpinella” birra anch’essa all’anice nata dalla creatività castignanese. Perché questo prodotto è così particolare? Perché da esso si ottiene il 4,6% di essenza estratta rispetto all’1,5% degli altri tipi di anice e contiene ben il 94% di anetolo contro una media dell’85% delle altre produzioni. Ciò ne fa un prodotto altamente qualificato anche per la fitoterapia, dal tradizionale latte di anice utilizzato contro la tosse e le bronchiti grazie alle sue qualità antibatteriche ed espettoranti alle tisane e decotti di vario tipo che hanno proprietà carminative, diuretiche, lassative e antispasmodiche; questa spezia è anche preziosa per facilitare la digestione, e combattere efficacemente l’astenia, le cefalee e l’affaticamento di natura cerebrale. L’olio essenziale è un potente antisettico. Il boom della coltura dell’anice iniziato a metà ‘800, durò fino al 1948 epoca del declino della coltivazione nella zona del Piceno. Fortunatamente un progetto di salvaguardia ha recuperato la semente dagli ultimi coltivatori rimasti, ne ha individuati quattro come “agricoltori custodi” dell’ecotipo castignanese e censiti altri sei che collaborano al recupero di questa spezia. Attualmente questo seme è iscritto nel registro delle biodiversità regionali delle Marche. Non mancate di fare una visita al centro storico di Castignano: nonostante siano ancora dolorosamente evidenti le ferite inferte dal terremoto vale veramente la pena di farsi una passeggiata che vi porterà tra vicoli e piazzette di raro fascino. Per saperne di più: www.aniceverdedicastignano.it

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