Un film documentario su Montelago è quello che ci voleva per lasciare una testimonianza indelebile nel successo del Montelago Celtic Festival che da oltre vent’anni ripopola, se pure per soli tre giorni, una meravigliosa zona delle Marche. Luciano Monceri e Maurizio Serafini sono i protagonisti indiscussi di questo ventennio di musica celtica e la nostra intervista doveva per forza essere a due voci.

Maurizio, da che cosa nasce l’idea di questo prodotto cinematografico?
Nasce dal voler raccontare i vent’anni del festival, passato di padre in figlio. Racconta l’epopea della festa celtica che è una storia giovanile, nata da noi ragazzi che affrontano e approcciano la cultura della musica celtica. Il documentario è stato realizzato in seguito prendendo materiale d’archivio e clip riprese durante le diverse edizioni del festival ai quali abbiamo aggiunto delle scene di fiction che raccontano appunto di quando eravamo giovincelli. Quarant’anni di storia, narrati da questo docufilm che portano alla costruzione della città nomade in questo bellissimo appennino marchigiano, legato alla cultura fantasy e celtica”.

Un luogo che appare e scompare per tre giorni, arrivando ad ospitare 20.000 persone tra organizzatori e partecipanti. Maurizio, come è iniziato il progetto?
Questa è una storia, come il film racconta, nata lontana nel tempo dall’amicizia di due giovani appassionati di cultura e musica celtica. Il progetto nasce da passione mista ad amicizia e con un pizzico di buona sorte e tanta volontà.

Da cosa nasce invece, Luciano, l’idea di farne un progetto cinematografico?
Nasce per dare un punto fermo di descrizione di questa storia che a volte ha dell’incredibile, si incontrano e si mixano storie. Dare un senso fissando l’inizio e l’evoluzione di questo festival a distanza di vent’anni dalla prima edizione.

Il festival, caro Maurizio, ogni anno ha un tema, qual è quest’anno?
Il tema di quest’anno è la responsabilità; una responsabilità da non fraintendere come colpa ma dalla capacità di prendersi un incarico. Nello specifico la responsabilità verso l’ambiente in primis, la responsabilità della sicurezza verso i partecipanti, la responsabilità di non nascondersi dietro un protocollo ma metterci la faccia. Noi siamo un festival dove ci si mette la faccia da venti anni assumendoci la responsabilità.

Ora una domanda empatica, che cosa si prova, Luciano, all’inizio durante la preparazione del festival e alla fine quando vedete sotto gli occhi cosa avete realizzato?
Mentre si crea, un anno prima, ci sono tantissime cose da ricreare e rivedere quindi non è mai la stessa cosa il festival in quanto, ogni edizione prevede cose diverse che il nostro direttore artistico Michele sta affrontando. Alla fine, quando lo vedi realizzato è una forte emozione, ma la cosa più importante è ciò che rimane nei cuori delle persone alla fine del tutto.

Adesso l’amicizia, Maurizio, si muove su un piano molto virtuale tra device e dispositivi digitali, che cosa si prevede da un punto di “amicizia” per questa nuova edizione dopo lo standby di due anni a causa della pandemia?
Cercheremo di normalizzare la nostra vita. Passata l’emergenza covid vogliamo e siamo pronti a riprendere una vita e una socializzazione normale, faccia a faccia a contatto con le altre persone in maniera diretta. Il festival si propone a sostegno dell’amicizia, tema anche del docufilm: l’amicizia che si vive dal vivo è fondamentale nella realtà delle persone.

E per te, Luciano?
I tre giorni che sembrano una fuga dalla realtà sono invece una realtà vera fatta di amicizia e collaborazione tra esseri umani. La non realtà è quella che sta fuori nascosta dietro ai profili social e alla comunicazione virtuale. Ci si riappropria della propria realtà.

Questo mondo fantasy è più reale della realtà virtuale, vivendo a stretto contatto con la natura per tre giorni; come si sposa, Maurizio, questo mondo fantasy con la realtà del festival?
La realtà più bella passa attraverso il fantasy. In realtà noi stiamo vivendo il fantasy che scrisse Orwell “1984”, non c’è più una meritocrazia né la capacità di essere umani diventando quasi un gregge di pecore al macello, prevedibili. Il fantasy è come è in realtà l’essere umano, entrambi imprevedibili e questo è il bello della nostra realtà

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