Il primo dicembre del 1970 in Italia entra in vigore la legge sul divorzio, poi confermata dal referendum abrogativo del maggio 1974. A distanza di quasi mezzo secolo il divorzio è dato per scontato ed è indubbio che abbia tentato di sanare alcune gravi situazioni.
Tuttavia non è stata una legge equilibrata, e mantiene ancor oggi una impostazione culturale estremamente discutibile, per lo meno nei suoi aspetti applicativi, infatti ha dato il via alla frequente figura del padre eliminabile, tramite l’artificio giuridico dell’affido esclusivo, largamente dominante nella fase iniziale di entrata in vigore della legge in questione.
Nel corso quindi di pochi anni si è ottenuta la demolizione reale della figura del padre, vero architrave delle società tradizionali non ancora completamente rimodulate al trionfante urbanesimo post-anni sessanta.
Fu Oswald Spengler a sostenere che “il padre dai molti bambini nelle grandi città è una caricatura”, ma la discutibile, e per alcuni aspetti tutt’altro che buona, legge del 1970 ha dato concretezza, tramite l’artificio giuridico dell’affido esclusivo, ad un vero e proprio frequentissimo scippo della genitorialità maschile, con l’avallo del diritto, la complicità dello Stato e il silenzio dei media.
Aspetti applicativi, di una legge insomma, che sono stati in grado di imbarazzare principi di rango costituzionale, quali l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza distinzione di sesso (articolo 3) e la tutela della proprietà privata (articolo 42), proprio grazie alla centralità nei primi anni Settanta (e anche dopo) dell’affido esclusivo che consentiva (e consente) anche l’affidamento della casa indipendentemente da chi fosse il proprietario.
Fa specie che uno dei primi interventi dell’inappoggiabile attuale governo Pd-M5S sia stato quello di “mettere nel cassetto” l’auspicabile ddl Pillon, che tentava di elevare l’affido condiviso alla sua reale e piena applicazione, dando di fatto un forte scossone ad un quadro giuridico sostanzialmente fermo da quasi mezzo secolo, grazie principalmente alla sinistra, che ne è stata la sentinella. Ebbene si, l’attacco al padre è un elemento ideologico fortemente presente nel Sessantotto, nel marxismo e nel progressismo, dato che attaccando il padre si attacca anche la Patria e il passato e si apre la porta alla società multietnica, alla libera circolazione di merci e persone, alla superfluità dei confini; il capitalismo internazionale ringrazia sentitamente i discendenti di Marx. D’altronde il capitalismo internazionale e il comunismo hanno iniziato il loro sodalizio da molto tempo, e la loro alleanza nella seconda guerra mondiale non deve certo stupire. E’ bene però precisare che l’attacco al padre è solo una tappa intermedia del più vasto attacco alla famiglia, infatti anche la figura della madre è insidiata da utero in affitto e scarso sostegno alla maternità. Nonostante la famiglia sia fortemente in crisi, più che per motivi economici (che comunque pesano e sono presenti), per motivi legati al crescente individualismo e all’inadeguatezza delle norme giuridiche, l’Italia se solo lo volesse, potrebbe giocare un ruolo di resistenza agli scenari di dissolvimento familiare (fino ad ora maggiormente attecchiti nei paesi nord europei) grazie a un residuale retaggio cattolico, a una più tardiva penetrazione del capitalismo maturo e al permanere di aree rurali e piccoli paesi dove è ancora forte la tendenza ad abitare i luoghi e non solo a risiedervi, come d’abitudine in alcune anonime megalopoli, popolate da uomini che progressivamente perdono il senso di appartenenza a una comunità e divengono sradicati cittadini del mondo. Da noi un caso Alfie Evans, con il suo sconcertante epilogo è più improbabile che nel civilizzato Regno Unito, che nonostante la sua avanguardia in tema di educazione sessuale “detiene il primato europeo delle gravidanze tra i teenager, soprattutto tra i minori di quindici anni” come ci ricorda Gianfranco Amato nel suo libro “I nuovi unni”.

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