Ci risiamo. Un occidente stanco e imbelle, culturalmente e spiritualmente, cerca invano di ribadire i valori di una parte della sua storia: la libertà di pensiero, la tolleranza, la laicità. Lo fa malamente, con una satira di pessimo livello, con la provocazione. Ed ecco che l’odio dei suoi ospiti si riaccende e provoca la morte. Si dirà che è l’opera di qualche singolo pazzo, come sempre, e che non è sociologicamente significativa. Ma la situazione di tensione sociale, a parte questi omicidi, va avanti da decenni, in Francia e altrove, cioè sin da quando il multiculturalismo si è mostrato per ciò che è davvero: una assurda utopia, nel migliore dei casi. Inoltre questo pazzo era sbarcato qualche mese prima a Lampedusa, ce lo siamo cioè portato in casa, in ossequio alla strategia mondialista e meticcista del melting pot, la quale segue una linea chiarissima che potremmo riassumere in Rothschild – Kalergi – Soros – Ong, con l’avallo della politica delle consorterie massoniche Usa-Ue, alle quali siamo sottomessi dal dopoguerra.

Ma cos’è che provoca questa violenza? Non facciamoci ammaliare dalle sirene della “lotta tra i mondi”, la quale viene evocata da certe letture, da Oriana Fallaci, da Magdi Allam in primis e da certa destra antislamica e filosionista. L’Islam, nonostante le sparate di Erdogan, non è un mostro dal quale guardarci e non è il caso di fare ora la conta delle aggressioni musulmane e di quelle crociate nella storia. La questione è un’altra: l’invasione dell’Europa, programmata a tavolino, finanziata, voluta, non fa né il nostro bene nè quello degli invasori, ma solo del potere che ci vuole disgregati. Il giovane francese di origini magrebine, così come il ragazzo appena arrivato dall’Africa, di fronte alla vacuità della vita che conduce, non può appoggiarsi ad un suolo che conosce, ad una cultura familiare, non a suo padre e sua madre che, anche quando ci sono, sono kafkianamente il contrario di come lui si sente. Senza radicamento fisico e culturale l’uomo cerca sostegno, in questo sistema di monadi alla deriva, in ciò che può, ovvero in una fede che, con la lingua, è l’unico retaggio di una identità ormai insensata. L’Allah Akbar gridato prima del gesto violento, qualora fosse genuino e non “supportato” da servizi in più o meno evidenti false flag, è una dichiarazione d’amore totalmente spuria e inconsistente, è solo uno slogan religioso senza contenuti.

Quel che dico non vuol essere una giustificazione al terrorismo o la sua minimizzazione, sia chiaro, ma nemmeno un facile alibi per certa destra suprematista. Ognuno a casa sua, porti chiusi e Karola Rackete e mandanti in galera, è ovvio ed è il minimo. Ma no anche alla predazione e alla spoliazione dell’Africa, la quale dovrebbe essere lasciata libera di riscoprire e attuare il pensiero dei suoi Semi Keba, Thomas Sankara e, perché no, dei suoi Gheddafi.

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