La crisi dovuta all’emergenza Coronavirus ha fatto toccare con mano alle persone prima completamente disinteressate alla “macchina” politico-amministrativa cosa voglia dire avere un buon o un cattivo Presidente di Regione, un buon o un cattivo Sindaco. I casi sono molteplici: si svaria dal Sindaco di Codogno che già a giugno invitava a prendere provvedimenti per la seconda ondata, al Sindaco di Milano che invitava tutti noi a non fermarci e a prendere un aperitivo nella sua – pur sempre splendida – città; si può andare dallo “sceriffo” De Luca che ordina prima il lockdown per non far entrare nessuno dei “lombardi infetti” in Campania e poi ne ordina un altro per non far girare il virus tra i “napoletani infetti”, al Governatore Fontana prima bersagliato di critiche per aver chiesto aiuto a Bertolaso con il Covid Hospital per poi trovarsi adesso popolo e giornalisti a ringraziarlo per quanto svolto. Anzi, a margine di questo, complimenti a Claudia Fusani per aver fatto mea culpa in diretta e aver chiesto scusa a Fontana per le critiche rivolte all’indirizzo del Presidente della Lombardia in primavera: nel mondo del giornalismo, le scuse in diretta sono un atto raro quasi quanto il passaggio della Cometa di Halley.

In quest’anno così disgraziatamente segnato dalla pandemia, si sono comunque tenute le elezioni regionali, tra l’altro con un rialzo nella partecipazione rispetto a cinque anni fa. Il leitmotiv di queste regionali è stato quello della sostanziale conferma delle amministrazioni uscenti: si va dai casi eclatanti di Luca Zaia e Vincenzo De Luca – rieletti rispettivamente con il 77 e il 70% – alle conferme stabili di Giovanni Toti e Michele Emilano con il 56 e il 47%. Anche in Toscana si è andati alla riconferma del centrosinistra di Governo, con Eugenio Giani che è stato eletto nuovo Presidente col 49%, dopo aver ricoperto la carica di Presidente del Consiglio regionale con il precedente Presidente Enrico Rossi.

Solo in una Regione c’è stato un effettivo cambiamento: la Regione Marche, retta storicamente solo da Giunte di Centrosinistra, è infatti andata al Centrodestra con l’elezione di Francesco Acquaroli, sconfiggendo il Dem Maurizio Mangialardi, proposto “in discontinuità” con il precedente Governatore, Luca Ceriscioli, resosi anche lui autore di una “rimonta” in termini di gradimento popolare in seguito all’emergenza Covid. Intrighi di palazzo e bisticci “democratici” a parte, a governare le Marche oggi c’è l’ex-Sindaco di Potenza Picena ed ex-Deputato di Fratelli d’Italia, che come primissimo atto politico ha subito esteso l’obbligo di mascherine anche all’aperto, anticipando di un paio di giorni il Governo nazionale.

Polemiche da parte dei meno prudenti, applausi da parte degli spaventati dal virus, ora il Presidente delle Marche ha firmato una nuova ordinanza, più restrittiva, per cercare di limitare il contagio. Certo, alcune imposizioni rappresenteranno una vera e propria Spada di Damocle per la ristorazione, ma quello che sorprende è il modo in cui il neo-Presidente ha deciso di affrontare la stesura dell’ordinanza. Pare infatti che, prima di emettere i provvedimenti, Acquaroli abbia chiamato tutti i referenti delle categorie professionali e gli imprenditori per chiedere un parere.

La stampa locale ha anche un po’ ironizzato, sparando titoli come “Ditemi se l’ordinanza può andare”, volendo forse far passare il messaggio che il Presidente di fatto non sappia come scrivere un’ordinanza. Invece non si è valorizzato abbastanza il fatto che, per la prima volta dall’inizio della pandemia, qualcuno abbia voluto parlare direttamente con chi dalla mattina dopo avrebbe dovuto fare i conti con la decisione della politica. Niente task force, niente “sceriffi”, niente Comitati – che siano tecnico-scientifici o di salute pubblica poco importa – bensì il confronto diretto con le parti sociali e l’ascolto delle istanze.

Quell’ascolto che deve essere il valore primario di qualunque politico, perché l’ideologia può andar bene se si vuole fare una manifestazione, le proposte possono andar bene se si governa – o se si vuole governare – in un momento in cui non ci sono crisi economiche, sociali e sanitarie in atto. Se però si è in emergenza, oltre alla prontezza nel prendere decisioni, è fondamentale l’ascolto: chissà in che situazione saremmo oggi se “Giuseppi” e tanti suoi colleghi avessero ascoltato gli allarmi dei virologi a febbraio, le richieste delle partite IVA ad aprile, le richieste di investimenti nella sanità a luglio e i suggerimenti degli imprenditori a ottobre. Forse non sarebbe cambiato nulla perché di fronte a un nemico tanto forte quanto insidioso, ma almeno i cittadini si sarebbero potuti confrontare per portare soluzioni, suggerimenti, modifiche e correzioni. Invece di subire delle lezioni frontali, peraltro abbastanza sconclusionate, da parte del professor Conte.

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