Il Novecento è stato un secolo di stermini: le due guerre mondiali, il nazismo, i regimi comunisti, da quello staliniano a quello maoista, a quello di Pol Pot. Le foibe sono state per decenni uno sterminio dimenticato. Bambini, donne e uomini colpiti nella loro dignità, perseguitati, massacrati, ridotti ad ossa da seppellire, ignorati anche per lunghissimi anni da una cultura manipolativa della storia del nostro Paese, che ha impedito che negli stessi libri di scuola si accennasse solo a questo sterminio. Fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini, furono assassinati nelle foibe.
Fu una carneficina, che testimoniò l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, quando venne fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia, ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finì, perché per lungo tempo quel dramma fu ignorato e cancellato dalla coscienza civile e dalla memoria storica del nostro Paese. Ancora oggi, molti farebbero volentieri a meno di ricordare e perseguirebbero un disegno di negazione dei fatti.
Mercoledì 10 febbraio il Comune di Corinaldo celebra il Giorno del Ricordo e lo fa presentando, sul palco del Teatro Comunale “C.Goldoni”, in collaborazione con Teatro Time e con la partecipazione di GDO, una produzione scenica composta di un intreccio di parole, passi e note: una scheda storica sulle foibe; un’intervista a un’esule istriana e testimonianze visive di quel tempo; movimenti coreografici ideati da Patrizia Salvatori sul brano di Simone Cristicchi “Magazzino 18”, una canzone che ripercorre tutti i luoghi più o meno noti delle foibe.
«È una comunicazione composita, un insieme di momenti e di elementi per far comprendere in un modo più semplice e accessibile la tematica delle foibe, e non sottacerla. Un’azione scenica costituita da tre elementi: testi, movimenti coreografici e immagini», dice Paolo Pirani, voce e ideatore dell’evento.
“Magazzino 18” è anche uno spettacolo teatrale, un luogo vero. «Mi sono imbattuto in un luogo veramente strano, che si chiama Magazzino 18» – raccontò Cristicchi – «e si trova nel Porto vecchio di Trieste.
Sergio Endrigo era nato a Pola (Istria) nel 1933. L’Istria, credo che i giovani non sappiano nemmeno cosa sia, divenne bottino di guerra, questa regione italiana venne data alla Jugoslavia. Endrigo si imbarcò con la mamma su una nave che venne in Italia insieme, ad altri trecentocinquantamila italiani». Nel «Magazzino 18» sono ancora custoditi gli oggetti, i bagagli, le povere cose lasciate dagli esuli istriani e dalmati nel ’47.
Sempre, l’ignoranza è nemica della verità e se si accompagna all’ideologia che vuole vincere su tutto, impedisce alla coscienza di documentarsi e di operare un giudizio sui fatti.
Per decenni, quegli italiani massacrati o spariti o costretti ad abbandonare le loro case, per tanti sono stati solo «fascisti».
Della loro fine e della storia non si doveva parlare. E’ stato un diktat ordito dalla cultura dominante, che vuole essere ancora egemone. Per molto tempo, la verità su quella pagina di storia italiana non è stata dolosamente detta e quelle storie di sofferenza e di atrocità hanno rischiato di essere avvolte nell’oblio, nel dolore intimo di coloro che sono rimasti, che hanno perso i loro familiari, i loro beni, le loro case, il loro vivere in quella parte dell’Italia che fu sottratta con la violenza e con la complicità di chi allora non intervenne per difenderla.

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