Cominciamo a pubblicare il commento al Vangelo di Don Dolindo Ruotolo, partendo dall’episodio del ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio.
Troppo spesso, ormai, accade che le parole di Gesù in risposta alla sua santa madre vengano interpretate arbitrariamente, da tanti commentatori del Sacro Testo, quasi fossero un richiamo, una “sgridata”, mentre Don Dolindo ci insegna che: “Egli, invece, rispose con immensa dolcezza e con infinita compassione al loro dolore..”.
Il testo è preso da “Nuovo Testamento – I QUATTRO VANGELI – Psicologia – Commento – Meditazione – commentati dal sac. Dolindo Ruotolo – edito dalla Casa Mariana Editrice (https://www.casamarianaeditrice.it/). Un testo che consigliamo caldamente a tutti di procurarsi.

Vangelo: san Luca 2,41-52
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

L’infanzia. Lo smarrimento di Gesù e la sua vita nascosta.
Maria e Giuseppe, dopo aver compiuto tutto ciò che ordinava la Legge, se ne ritornarono nella Galilea, andando a dimorare con il Figlio divino nell’umile borgata di Nazaret. Siccome san Giuseppe, quando ritornò dalla fuga in Egitto, voleva fissare il suo domicilio a Betlemme (cf. Mt 2,22) si può supporre che, dopo la purificazione, la sacra Famiglia sia andata a Nazaret per un certo tempo, per ritornare poi a Betlemme dove più tardi avvenne l’adorazione dei Magi, e poi la fuga in Egitto e il definitivo stabilirsi a Nazaret.
In questa dimenticata borgata, Maria allevò il suo Bambino e san Giuseppe cercò di sopperire alle necessità della casa con il suo lavoro. L’idea che ebbe più tardi di stabilirsi a Betlemme ci fa comprendere che a Nazaret il lavoro doveva esservi scarso e che la vita della sacra Famiglia conoscesse le angustie della povertà, ma in quella povertà splendeva Gesù, Tesoro divino, ed era la felicità della casa. Il Sacro Testo dice che Egli cresceva e s’irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Da queste brevi parole, che san Luca attinse dalla bocca di Maria, si può arguire quale fosse la sua vita con il Figlio divino. Ogni madre è attirata teneramente a considerare il crescere e l’irrobustirsi fisico del figlio, ed è incantata dalle prime manifestazioni della sua intelligenza e del suo cuore.
Chi alleva un figlio sa quanta gioia si prova nel vederlo sano, forte, intelligente e buono, ossia nel constatarne lo sviluppo fisico e morale. Questa soddisfazione d’amore in Maria era immensa, poiché Ella sentiva dalla vita del Redentore una continua comunione di grazie ed era come immersa nei raggi della sua Divinità.
Cresceva Gesù e cresceva l’amore di Maria; si irrobustiva il piccolo corpo e aumentava la sua tenerezza materna; Egli non balbettava ma le parlava da Dio al Cuore e le rivelava i tesori della sua carità.
Maria, quindi, era in continua contemplazione. Nessuna maternità fu più gioiosa della sua. Gesù cresceva e s’irrobustiva, quindi cominciava a camminare e a prestare piccoli servizi in casa e nella bottega di San Giuseppe.
Quale tenerezza e quale esempio, l’intimità della casa di Nazaret! Vi regnava sovrana la pace, il raccoglimento, la più intima e pura gioia, e la luce divina la mutava in un tempio. Che cos’era Gesù al petto materno! Con quale umilissimo amore Ella gli continuava a dare, nel latte, la sua vita, con quale tenerezza si sentiva succhiare la vita! Una delle più tenere funzioni materne è l’allattamento; aprirsi quasi il cuore, donare se stessa, sentirsi leggermente mordere, notare la soddisfazione del piccolo infante, i suoi occhi, la sua stessa attività commuove le sue viscere. Si sente alleggerita dal suo piccolo, perché si vuota di quelle pienezza che il suo amore vuol donare, e quando lo vede stacca dal suo petto, nel sonno, rimane a guardarlo e lo bacia soavemente, lo sfiora con un soffio d’amore.
La Chiesa sintetizza questa funzione materna di Maria con un frase ammirabile: Sola virgo lactabat, ubere de cælo pleno; aveva il petto verginale pieno di Cielo perché fecondo per opera dello Sprito Santo. Ella, dunque, non gli donava solo il latte verginale, ma effondeva in Lui la sua vita d’amore e lo avvolgeva nei profumi della sua purezza e della sua umiltà. Quel petto immacolato era veramente un campo di gigli dove il Diletto suo discendeva per pascolarsi d’amore, ed Ella gli donava tutto il suo Cuore Immacolato, attingendo a sua volta da Lui quella grazia della quale era ripieno.
Sapeva benissimo, poi, di avere al petto il Figlio di Dio, e la sua umiltà, a quel contatto, doveva essere immensa, ineffabile. Lo toccava come un’Ostia consacrata, lo avvolgeva con le sue braccia più dell’angelo dell’Arca, era tutta splendente d’amore, era la Madre di Dio, l’unica Madre nella quale questo nome era veramente divino!
Gesù cresceva e s’irrobustiva, facendo i primi passi e poi prestando i primi servizi, come si è detto. Il piccolino, dolcissimo, camminava per le umili stanze come una visione celeste; perfettissimo di forme, tutto riccioli d’oro, rifulgente nella sua Divinità, amabile, soave, i suoi occhi brillavano di un’intelligenza che costringeva all’adorazione. Era soffuso da una leggera mestizia perché era Vittima d’amore, e Maria, nel guardarlo, penetrava i misteri di quel Cuore infinito e li conservava nel suo Cuore, gemendo in un profondo dolore. La profezia di Simone le era sempre presente, e il passare degli anni l’avvicinava sempre più al Calvario. Ella lo sapeva, ma si univa tutta alla divina Volontà e pregava per gli uomini.
Cresceva Gesù […] pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Egli, infatti, possedeva, come uomo, in modo mille volte più perfetto degli Angeli e dei Santi, la scienza beata e la scienza infusa, e aveva anche la scienza sperimentale o acquisita proporzionata alla sua età e alla perfezione ammirabile delle sue facoltà naturali. La sua anima umana era rivestita della pienezza della grazia santificatrice e possedeva in sommo grado i doni dello Spirito Santo, le grazie gratis datæ e tutte le virtù infuse o acquisite.
Era perfettissimo anche nella piccola età, e spirava tale soave maestà da conquistare. Ogni suo atto era divino, e dai piccoli servizi che prestava spirava qualcosa di solenne, perché Egli faceva tutto adorando, riparando, ringraziando e pregando il Padre per gli uomini che era venuto a redimere. La piccola casa di Nazareth, quindi, risuonava di arcane lodi più che un tempio e, a quelle lodi divine, rispondevano i Cuori di Maria e di Giuseppe, due Cuori che palpitavano all’unisono con il Verbo Incarnato.

Gesù smarrito e ritrovato nel Tempio
Ogni anno Maria si recava con san Giuseppe a Gerusalemme per la solennità della Pasqua, benché, essendo donna, non vi fosse obbligata. Gli uomini dovevano andarci tre volte l’anno: nella Pasqua, nella Pentecoste e nella festa dei Tabernacoli; le donne ne erano dispensate, e solo le più pie vi si recavano nella Pasqua. I fanciulli, poi, contraevano questi obblighi legali all’età di dodici anni. Maria, andando a Gerusalemme, portava con se anche Gesù, ma quando Egli giunse all’età legale dovette farlo viaggiare nella comitiva degli uomini, com’era d’uso, e fu così che al ritorno non si accorse che Egli era rimasto a Gerusalemme. Credettero, tanto Lei che san Giuseppe, che fosse in mezzo agli altri e camminarono una giornata. Alla prima sosta, però, constatarono che mancava e lo cercarono inutilmente tra i parenti e i conoscenti. Col cuore estremamente angosciato, allora, ritornarono a Gerusalemme e, per ritornarvi, impiegarono un altro giorno; non sapendo come rintracciarlo, stettero un giorno intero a farne ricerche, e nessuno seppe dare loro indicazioni perché non lo conoscevano. Finalmente il terzo giorno andarono al Tempio, forse per supplicare Dio di farlo ritrovare loro e, attraversando le sale annesse all’edificio sacro, dove i rabbini si radunavano per insegnare la Legge, riconobbero la voce dell’amatissimo Figlio, che in mezzo ai dottori stava seduto come un discepolo, ascoltando e proponendo loro varie questioni.
E’ impossibile formarsi un’idea del dolore di Maria e di Giuseppe nello smarrimento di Gesù; bisognerebbe poter misurare l’amore che gli portavano. Erano angosciati, agonizzavano, temevano di aver provocato essi quell’allontanamento per la loro indegnità, trepidavano per la sua incolumità, gemevano nella maniera più straziante.
Gesù era tutta la loro vita e l’anima loro era straziata senza di Lui. Che cosa furono quei giorni di ricerche! Non persero la pace, perché erano santissimi, ma perserò, si potrebbe dire, il cuore, perché se lo sentivano straziato. Gesù Cristo conosceva il loro strazio, ma permise quella terribile prova per santificarli di più e per esempio di tutti. Il suo Cuore divino ne soffriva più di loro ma, nel momento nel quale Egli iniziava la sua vita legale, per compiere la sua opera, era necessaria una grande immolazione d’amore che rendesse l’uomo degno di accogliere il suo amore.
La spaventosa indifferenza delle creature per ciò che appartiene a Dio e l’agitazione del mondo nelle miserie delle sue stupide attività, tutte orientate alla materia, esigevano quell’agonia di due anime tese solo a Dio e viventi solo per Dio. La terribile resistenza che fanno tanti cuori alle chiamate di Dio, preferendo i loro disegni alla sua Volontà, esigeva il sacrificio che Gesù faceva del suo amore a Maria e a Giuseppe come riparazione e come preparazione ad accogliere il disegno della divina Volontà. Egli doveva affermare il diritto di Dio sulla gioventù, speranza della vita delle nazioni, doveva distruggere d’un colpo le pretese delle tirannidi sui cuori che appartengono solo a Dio, doveva dare una luce che non doveva spegnersi più sull’educazione dei figli e sulla loro vocazione, ed ebbe bisogno di un grande dolore per affondare nel duro cuore dell’umanità questa semente di vita. Se avesse prevenuto Maria e Giuseppe delle sue intenzioni, non avrebbe conseguito l’altissimo scopo che voleva conseguire; fece, dunque, forza al suo Cuore, si appartò, ritornò al Tempio e schiuse la sua mente agli insegnamenti della Legge, per insegnare ai giovani ad aprire la loro vita a Dio e a seguire, senza riguardi umani, le ispirazioni particolari della divina Volontà su di loro.
A dodici anni Gesù era ben sviluppato, a giudicare dalla statura che raggiunse nell’età matura. Era di forme perfettissime, bellissimo, splendente, affascinante. La sua chioma intensa, come quella dei Nazirei, gli scendeva sulle spalle e incorniciava il Volto come un’aureola di Gloria. I suoi bellissimi occhi rivelavano il mistero divino che in Lui si nascondeva, avevano un’espressione arcana e una luce ineffabile; penetravano, per così dire, i cuori. Entrò nella sala dov’erano i dottori e sedette, ascoltandoli.
Il suo Cuore si saziava della divina Parola e ardeva per la gloria del Padre. Attirò subito l’attenzione di tutti perché, interrogato, diede risposte profondissime e fece domande che stupirono tutta l’assemblea. Di che cosa parlò? Il Sacro Testo non ce lo dice, ma si può supporre che parlasse della pienezza dei tempi e del Messia, e parlasse del suo Padre celeste, come si potrebbe rilevare dalla risposta che diede a Maria. Parlò di Dio, e per la prima volta sulla terra echeggiò una parola divinamente luminosa fra tante tenebre che gravavano sugli uomini.
Maria e Giuseppe entrarono nel sacro recinto e furono stupiti che Gesù si fosse manifestato così al pubblico. Il suo amore al nascondimento era così profondo che non lo credevano possibile. Forse si stupirono che fra tanto dolore Egli si fosse mostrato insensibile, sapendo quanto era affettuoso e amabile. Maria non poté frenare il suo amore materno; corse la dove stava il Figlio, lo interruppe nel suo discorso ed esclamò: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te.
Tutto il suo dolore era espresso in queste poche parole: lo chiamò figlio, e con questo disse che lo cercava da madre, e da Madre divina. Gli domandò perché aveva fatto quella cosa, e con questo manifestò tutte le sue trepidazioni angosciose del suo Cuore e di quello di san Giuseppe; espresse la pena immensa con la quale l’aveva rintracciato, e con questo espresse l’amore che aveva reso un’agonia il suo materno affanno e quello di san Giuseppe.
Gesù Cristo non rispose duramente, come potrebbe apparire dal Testo; noi, abituati ad adirarci quando siamo contraddetti e leggendo l’episodio con passionalità, possiamo facilmente essere indotti a dare un senso di durezza alla risposta di Gesù; Egli, invece, rispose con immensa dolcezza e con infinita compassione al loro dolore: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi di ciò che riguarda il Padre mio? Se avessero riflettuto all’amore che portava loro e alla missione che aveva, non avrebbero dubitato del suo affetto e avrebbero capito che si era trattenuto al Tempio. Egli voleva dire: “Come potevo trascurarvi e come potevo non tener conto del vostro dolore? Ma lo sapete che io sono Figlio di Dio e potevate supporre che io fossi attirato dalla Casa del Padre mio e dagli interessi della sua gloria”.
Il Sacro Testo soggiunge che essi non compresero quello che aveva detto loro, non perché non fossero in grado di capire le sue parole, ma perché l’emozione e l’amore li concentravano in Lui solo. Era così bello nel sacro recinto, così fulgente d’amore nelle sue parole, così profondo nelle sue risposte che essi rimasero come incantati e non rifletterono sulle sue parole. Tardava loro solo il momento di averlo di nuovo, e per questo il Testo soggiunse: Se ne andò, quindi, con loro e fece ritorno a Nazareth, ed era loro sottomesso. Non fecero attenzione alle sue parole, dunque, perché lo invitarono a non lasciarli più soli; ed Egli, infatti, immediatamente obbedì.
Se avesse risposto per rimproverarli non li avrebbe seguiti e avrebbe continuato a parlare, invece tacque all’istante; la voce materna era per Lui un comando e doveva esserlo sempre. Per questo, Maria, passando dall’impeto del suo amore a un sentimento di profondissima umiltà, meditava nel suo Cuore quello che si era svolto e il mistero dell’amore che Egli le portava. Egli le obbediva, Egli, il Figlio vero del Padre! La sua maestà divina si piegava dinanzi alla sua parola! Tutt’altro che mostrare noncuranza o trattarla male, come dicono i protestanti, Egli cessava di occuparsi del Padre suo divino per occuparsi della Madre, e mostrava che l’amava d’uno stesso amore e che per Lui il consentire a ciò che Lei voleva era lo stesso che glorificare Dio suo Padre.
Ritiratosi a Nazareth, Gesù vi rimase nascosto fino a che non cominciò la sua vita pubblica. Che cosa faceva nel suo arcano nascondimento?
Evidentemente si occupava delle cose del Padre suo, cioè della sua gloria, e se ne occupava umiliandosi, obbedendo e lavorando. Il Sacro Testo dice che Egli cresceva in sapienza, in statura e in grazia presso Dio e gli uomini, e da queste poche parole si può intuire qualche cosa del mistero della Vita divina: cresceva in sapienza non perché studiasse, ma perché manifestava sempre più gli arcani della sua scienza beata e infusa, e meditava con la scienza acquisita, cioè con l’energia della sua anima umana, le divine meraviglie, parlandone con la Madre, con san Giuseppe e con altre persone familiari. Era logico che facesse così, perché Egli voleva innalzare e nobilitare in sé la natura umana, e non c’è cosa più nobile quanto il meditare le meraviglie celesti.
Cresceva in statura, perché l’età si avanzava, ed Egli, essendo veramente anche uomo, lo mostrava in tutta la sua vita. Aveva però, nella sua statura, cioè nel suo aspetto fisico, attrattive mirabili che colpivano quanti lo vedevano, e quindi cresceva in queste attrattive come cresce il sole a misura che sale sull’orizzonte. Cresceva in grazia non secondo l’abito che era in Lui perfetto e immutabile, ma secondo gli effetti, compiendo sempre più opere mirabili che ne manifestavano la pienezza. Presso Dio la sua vita era un’offerta sempre più grande, presso gli uomini era una manifestazione sempre più bella; a Dio donava gli atti della vita che progrediva e, seguendo lo sviluppo naturale, cresceva in questi doni d’amore; agli uomini dava lo spettacolo di una grandezza sempre più attraente per la sua bontà e soavità.

Per la nostra vita spirituale

Le poche parole che dice il Sacro Testo sull’infanzia e sulla giovinezza di Gesù sono un programma di vita per l’educazione dei figli, l’unico programma che può dare un vero progresso di bontà e di attività nell’anima giovanile. Nasce il Bambino in una grotta, e si compiono su di lui esattamente tutte le prescrizioni della Legge con quella precisione che avevano Maria e Giuseppe in tutto ciò che riguardava il Signore. Fu circonciso e gli fu imposto il nome, non a capriccio, ma secondo quello che era stato detto dall’angelo prima che fosse concepito nel seno di Maria. Cantarono gli angeli intorno alla grotta, lodando Dio, e questa fu la festa fatta al Bambino divino, festa del cielo; fu riposto in una mangiatoia, povero di cose terrene e ricchissimo di tesori celesti, amorosamente vegliato da Maria e da Giuseppe.
Tali devono essere i primi momenti della vita di un infante: egli nasce sulla terra e, per quanto possano essere ricchi i suoi genitori, nasce sempre in una grotta, perché la terra è un esilio. E’ necessario, dunque, circondarlo di beni spirituali e di lodi a Dio, capaci di dargli una prima impressione spirituale nello schiudersi della vita. Quel piccolo essere riceve la forma che gli si dà, quasi molle cera, e i primi giorni che passa sulla terra possono avere un’influenza grandissima su di lui.
Cantino gli angeli intorno alla culla, non le canzonettiste o i poveri artisti di teatri carichi di futilità mondane; si cantino voci di lode a Dio e voci di pace, affinché la piccola anima, senza accorgersene, sia subito orientata al Signore e respiri un’atmosfera di tranquillità. Gli si dia al più presto la grazia del Battesimo, secondo le prescrizioni della Chiesa, e gli s’imponga un nome suggerito dall’angelo, cioè consono agli usi della Chiesa e capace di esprimere almeno una particolare devozione o un atto di fede. Un nome bizzarro o profano lascerà poi, sull’anima del neonato, un marchio di mondanità che può nuocergli per tutta la vita. Battezzare il piccolo portandolo in Chiesa, non nella propria casa, perché egli dev’essere ricevuto dalla Chiesa e deve essere incorporato a Gesù Cristo in quel luogo consacrato, quasi nuovo altare erettovi dalla mano del sacerdote. E’ necessario presentarlo a Dio, pregando che si compia su quella vita la divina Volontà, e offrire al Signore il mistico Agnello, comunicandosi, e il colombo, serbando la purezza e la castità coniugale, per dare al piccolino un’impronta di purezza.
Ogni neonato ha il vecchio Simeone che quasi profetizza di lui, perché ogni neonato è circondato da voti e da speciali disegni di quelli che lo ricevono. E’ necessario porre come programma di vita non le grandezze terrene ma la Legge di Dio, perché quel piccolo può essere rovina o risurrezione di molti, a seconda dello sviluppo della divina Volontà su di lui, e può essere anche spada di dolore per i genitori.
Siamo convinti per esperienza che la vita di molte creature è deviata fin dalla nascita da falsi profeti, che la desiderano mondana, e dalla mancanza di orientamento nella divina Volontà. I figli annunciati, per così dire, dalla preghiera, nati nella benedizione, offerti a Dio perché si compia in loro la sua Volontà, custoditi fra le armonie della vita santa dei genitori, crescono sempre bene, soprattutto se, affidati a Maria e Giuseppe, sono tutelati da grandi aiuti celesti.
Gesù Bambino cresceva e s’irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. I genitori non possono preoccuparsi solo dello sviluppo fisico dei figli, ma devono aver cura che crescano in sapienza e in grazia. E’ sapienza vera orientarli a Dio e alle cose sante fin dalla tenera età e insegnar loro ad amare Gesù e Maria; è sapienza formare in loro i primi fiori delle virtù e dar loro l’attrattiva alla carità e alla pace.
I giocattoli devono avere tutti un significato di virtù, e non possono divertire il bambino educandolo nella frivolezza. E’ così che cresce in lui la sapienza e si formano in lui, per la grazia di Dio, le prime idee del bene. Il piccolino deve crescere in grazia a misura che cresce nel corpo, facendogli fare le prime preghiere con atti infantili d’amore, con baci impressi sulle immagini sacre, con rudimentali considerazioni su Gesù sofferente, facendogli vedere, per esempio, le spine della sua corona o le piaghe del suo Corpo. Deve crescere in grazia, portandolo al tempio, facendolo benedire dal sacerdote e dandogli le prime attrattive alle cose sante.
Sottrarre i piccoli a Dio, vestirli con i cenci dei politicanti, dissacrarli con emblemi di apostasia, mettere sul loro cuore un segno che non è il nome di Maria o quello di Gesù e dar loro come giocattoli truci le armi e come aspirazione la violenza è un delitto spaventoso, è un darli a satana, un formare di loro dei precoci delinquenti. I fannulloni o gli empi che escogitano simili trovate si accorgeranno troppo tardi di aver formato una generazione di violenti e di avere ricacciato l’umanità nelle barbarie dalla quale la trasse Gesù Cristo con il suo Sangue.
All’età di dodici anni, Gesù andò al Tempio, si pose ad ascoltare i dottori della Legge e si occupò delle cose del Padre suo. Visse di lavoro e di obbedienza, e si tenne nascosto fino all’età di trent’anni. Il giovane deve schiudersi alla vita soprannaturale, non a quella politica o militare; deve occuparsi delle cose di Dio, istruendosi nella fede, e deve vivere nel suo lavoro quotidiano con obbedienza e sottomissione ai genitori, principalmente ai genitori. L’impeto e la generosità dei giovani deve rivolgersi a Dio e la loro vita dev’essere tranquilla e serena, non agitata da premature passioni, suscitate imprudentemente nel loro animo. Dar loro troppa importanza significa disorientarli ed educarli, come dolorosamente si vede, al poco rispetto per i vecchi, all’indisciplina e alla rivolta. Perciò la gioventù dev’essere educata dalla Chiesa; solo questa tenera e sapientissima Madre ha il segreto della formazione delle anime, poiché Ella solo ha la ricchezza della verità e dei tesori soprannaturali.
Maria e Giuseppe smarrirono Gesù quando Egli era nella comitiva; lo smarrirono perché Egli si trattenne nel Tempio ma, se lo avessero seguito, certo si sarebbero risparmiata quella grande angustia. Anche questa è una lezione per i genitori e per quelli che educano i giovani: senza la vigilanza, nelle comitive e nei ritrovi si smarriscono, e non come Gesù, che andò al Tempio, ma spesso nelle vie del male.
Maria e Giuseppe cercarono invano Gesù nella comitiva e nella città; solo quando andarono al Tempio lo ritrovarono. Quante volte si smarrisce Gesù nella vita, al quale diventa così vuota e desolata! E’ necessario cercarlo nel Tempio, ai piedi di Dio, avvicinandosi ai suoi ministri nei Sacramenti. Persuadiamoci che non c’è dolore più grande, nella nostra vita, quanto perdere Gesù, e che non possiamo riposare una sola notte in quest’immensa sventura. Negli smarrimenti del nostro spirito andiamo a Lui, rifugiamoci all’ombra del suo Tabernacolo, cerchiamolo con immenso amore ed Egli ci si svelerà, ritornerà a noi e ci darà la pace. Quante anime smarriscono Gesù perché lo ricacciano e conducono una vita infelicissima, lontane da Lui! O mio Signore, nato in terra per mio amore, non permettere mai che io ti perda; donami piuttosto la morte!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here