Secondo uno studio italiano pubblicato sulla rivista Neurology  le cellule staminali avrebbero un ruolo potenzialmente strategico addirittura per una malattia degenerativa come la sclerosi multipla. Sono circa 122mila nel nostro Paese le persone affette da questa patologia di cui quasi il triplo sono donne. Colpisce il sistema nervoso centrale, con una reazione anomala delle difese immunitarie che attaccano alcuni componenti dello stesso sistema scambiandoli per fattori esterni, motivo per cui rientra tra le malattie autoimmuni.
Le cellulare staminali nell’ambito della ricerca medica vengono utilizzate con l’obiettivo di poter sostituire qualsiasi tessuto o organo malato contribuendo alla sua rigenerazione in laboratorio. Non a caso viene utilizzato il termine di “medicina rigenerativa”. Tuttavia, la loro principale, se non unica, applicazione al momento è quella tramite il trapianto di midollo osseo per curare alcune forme tumorali, principalmente del sangue.
La ricerca condotta dall’università di Genova e dall’ospedale San Martino ha dimostrato quanto la combinazione tra una terapia immunosoppressiva e il trapianto autologo (cioè dal sangue dello stesso paziente) di cellule staminali emopoietiche sia efficace sul lungo periodo. Un tipo di intervento che riuscirebbe a rallentare la sclerosi multipla, impedendo un peggioramento della disabilità generata sul soggetto interessato. Lo studio ha coinvolto 20 centri italiani e un gruppo di 210 pazienti, che si erano già sottoposti al trapianto, dal 1998 al 2019. La prima fase ha riguardato la terapia immunosoppressiva, in modo da far cessare lo stato infiammatorio del sistema nervoso, mentre la seconda la reinfusione delle cellule così da ricreare un nuovo sistema immunitario: esattamente quello che da anni viene effettuato per curare i tumori del sangue.
Proprio a causa della lentezza con cui la sclerosi multipla si cronicizza, l’osservazione dei pazienti si è divisa in due step: il primo che, dopo cinque anni, ha fissato all’80% le persone coinvolte dallo studio che non hanno riportato peggioramenti nella disabilità generata dalla malattia e il secondo, dopo dieci anni, che ha confermato l’assenza di peggioramenti nel 66%, con addirittura un miglioramento a livello neurologico sul lungo periodo.
Ecco perché questo tipo di trattamento, composto sia da terapia immunosoppressiva che da trapianti di cellule staminali, potrebbe essere utilizzato per chi non risponde alle terapie convenzionali o per quei pazienti che, alle prese con forme gravi, non hanno soluzioni da percorrere.

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