Cari lettori, appassionati d’opera lirica, studenti di canto, musicisti, ascoltatori di musica, inauguriamo oggi la rubrica “PILLOLE DI BELCANTO” trattando uno dei pilastri del nostro “belcanto” italiano: l’esecuzione della MESSA DI VOCE. Indicata in spartiti/partiture col segno <> da molti grandi compositori, quali ad esempio Rossini, Bellini, Persiani, Donizetti, Meyerbeer, Bizet, Verdi, Brahms, Perosi e Berg), essa costituisce una delle più importanti caratteristiche vocali di un vero belcantista!

Innanzitutto, che cos’è una “messa di voce”?
E’ l’esecuzione, su una nota tenuta (molto lunga, lunga o medio-lunga), di un suono che partendo da PP (pianissimo) arriva, con un crescendo graduale, a un F/FF (forte/fortissimo), per poi ritornare, con un diminuendo graduale, al PP (pianissimo). In sostanza significa sostenere una nota tenuta passando gradualmente dal suono “filato” alla “mezza voce” alla “piena voce” (tre meccanismi vocali diversi) e viceversa:

1. Pianissimo (“filato”)
2. “Mezzavoce”
3. “Piena voce”

Ma come si studia e come si arriva ad eseguirla in modo perfetto (dopo mesi-anni di esercizio e pratica vocale)?

E’ singolare il fatto che essa venga posta subito dal Rossini nel primo esercizio dei suoi “Gorgheggi e solfeggi” del 1827, ma bisogna dire che viene pure menzionata e spiegata prima e dopo di lui, in decine di trattati e documenti inerenti il canto, dal Seicento al Novecento, da maestri di canto, cantanti, critici e compositori: tuttavia molti, lungo i secoli, hanno sottolineato l’importanza del controllo del fiato, dimenticando che per eseguirla ad arte è necessario – contemporaneamente a una perfetta gestione del respiro – anche divenire ‘maestri’ nell’emissione vocalica, il che implica posizioni ed aperture della bocca differenti nel passare da una dinamica a un’altra.
Le migliori indicazioni pratiche, in tal senso, vengono suggerite – nei trattati dei secoli passati – da Mancini (nel Settecento, all’epoca dei grandi castrati come il celebre Farinelli), Delle Sedie (nell’Ottocento, in epoca verdiana) e Viñas (nel Novecento, in epoca verista), vediamole assieme.

I.[MANCINI]
Ecco cosa consiglia Mancini quanto al dosaggio del fiato e all’apertura della bocca nella MESSA DI VOCE :

«Ora ragionerò del modo che lo scolare deve usare per conseguire con facilità la messa di voce, e renderla perfetta in ogni sua parte. Ripeto, che lo scolare non deve presumere di poter eseguire la messa di voce, se prima non avrà acquistata, nel modo di sopra additatogli, l’arte di conservare, rinforzare, e ritirare il fiato : giacchè da questo solo dipende il saper dare la giusta e necessaria graduazione, e quel proporzionato valore, a cui possa, senza sua gran pena, resistere. Dirò dunque, che se vorrà concepirla senza difetto, sarà necessario che lo scolare non sforzi con violenza il fiato, ma dovrà quietamente produrlo; in oltre, dovrà farne esatta economia, con produrlo a grado a grado, acciò così facendo, possa con più sicurezza graduare la prima nota, pigliandola sotto voce, ed accrescendola pian piano al grado più forte, per poi ritirarla cogli stessi gradi, che avrà adoprati nel rinforzarla. In questo modo si troverà poterla sostenere sino alla fine, ed eviterà quell’inconveniente, che suol’accadere ai cantanti, che infine si trovano sfiatati affatto, e di più se nel principio producono il fiato con impeto, cresce talvolta di tono la voce, e nel fine cala, e viene in ambedue i modi, col discordare, a dispiacere a chi gli ascolta.
Non v’ha dubbio, che al principio proverà lo scolare difficoltà non mediocre nell’esecuzione di salire e discendere con la voce con gradi ineguali. Ma questa difficoltà gli verrà in parte scemata, se nel fare il detto esercizio pianterà bene la bocca, che la deve concepire. La bocca nell’intraprendere la nota dev’essere appena aperta, giovando moltissimo per far uscire la voce nel principio con dolcezza, per poi graduatamente rinforzarla, con aprire la bocca sino a quel segno prescritto dall’arte. Avverta lo scolare d’intraprendere l’esercizio della messa di voce con moderatezza, perchè altrimenti correrà rischio di stancarsi il petto, e quindi farà bene, se nell’incominciamento di questo studio, che deve per altro essere giornaliere, prenderà spesso pausa e riposo.
Io mi sono dilungato più forse del dovere, ragionando su questa messa di voce, ma a dirvela, giovani studiosi, mi sta tanto a cuore, che io non finirei mai di parlarne.»

(da: Riflessioni pratiche sul canto figurato di Giambattista Mancini maestro di canto nell’Imperial Corte di Vienna, Accademico Filarmonico – Rivedute, corrette, ed aumentate. Terza edizione, Milano 1778)

In sintesi, Mancini suggerisce:
1. di non spingere con violenza il fiato (cosa che comunque non va fatta nemmeno cantando a “piena voce”, tanto meno andrà fatta attaccando una nota lunga nella dinamica di “pianissimo”)
2. di risparmiare il fiato, distribuendo la respirazione nella fase espiratoria con grande lentezza e gradualità
3. di modificare l’apertura, nel crescendo da piano a forte, da “appena aperta” a più “aperta”

II. [DELLE SEDIE]
Il Mancini non ci dice però che tipo di apertura precisa debba avere la bocca nel crescendo-diminuendo, ed è su questo particolare punto che interviene nel secolo successivo Delle Sedie, baritono ed amico di Verdi che suggerisce questa possibilità per l’esecuzione della “messa di voce”: vale a dire passare dalla E alla O alla A (nel crescendo) e viceversa dalla A alla O alla E (nel decrescendo).

Del Decrescendo e del Crescendo e i “suoni filati” :

«DEL DECRESCENDO
Ritenuto che la pressione dell’aria è per il “forte” più vigorosa, si dovrà nel Decrescendo diminuirla leggermente.
Per facilitare l’esecuzione del Decrescendo, s’impiegheranno le vocali intermedie (…) procurando evitare un cambiamento troppo manifesto nella posizione delle labbra durante il passaggio da A largo ad A stretto, O stretto ed E; ciò allo scopo di possibilmente unir fra loro i varii timbri.

DEL CRESCENDO
Il metodo adoperato per ottenere il Decrescendo dovrà essere invertito (…)
La prima nota di ciascuna battuta pertanto si attaccherà “pianissimo” (…) per arrivare poi gradatamente al “forte” (…) La pressione dell’aria dovrà aumentare naturalmente e senza sforzo, perocché l’esagerazione della medesima offuscherebbe la bellezza della voce e la priverebbe d’ogni morbidezza.

I suoni filati non sono altro che l’applicazione, ad una sola nota, del Decrescendo e del Crescendo.»

(da: Enrico delle Sedie – “Arte e fisiologia del canto” – Milano, Ricordi 1876)

III. [VIÑAS]
Ancora più nel dettaglio entra il tenore Viñas, noto in particolare per le sue interpretazioni wagneriane (nell’arco di tre anni cantò Lohengrin ben 120 volte, cantò anche alla Scala di Milano ed al Metropolitan di New York): la sua carriera durò 30 anni ed aveva in repertorio 35 opere!
Eppure, nel suo metodo del 1932 – inaspettatamente – egli si rifà alla scuola antica italiana addirittura citando Farinelli, che come è noto storicamente fu uno dei cantanti che maggiormente sapeva dominare in modo impeccabile e straordinario la “messa di voce”, anche per la lunghissima durata della nota tenuta ‘filata’ (<>) che egli sapeva eseguire:
“Chi strilla e forza gli acuti perde la voce” – FARINELLI

Si noti il fatto che sia Delle Sedie che Viñas potrebbero aver tenuto presente il punto in cui Nathan (allievo di Domenico Corri, un allievo di Porpora il quale fu maestro di celebri castrati quali Farinelli e Caffarelli) in riferimento al crescendo nella ‘messa di voce’ consiglia un cambiamento vocalico:

«The Tyro (student) having this far satisfied his ear in distinguishing the feigned voice from the falsetto, should endeavor to blend those two qualities of tone by commencing with his falsetto upon any given sound, and whilst in the act of prolonging that sound, change the vowel without taking a breath, as [e-a] or [u-a] this will decidedly effect the desired union; which having been accomplished, the next object must be that of uniting the feigned voice with the Voce di petto.»

(in: Isaac Nathan – MUSURGIA VOCALIS – Chapter VI – “An essay on the qualities, capabilities, and management of the human voice”, 1836)

Di sicuro il Viñas cita Farinelli e si rifà alla scuola antica nel suo trattato sull’arte del canto e, ricercando le origini del belcanto nella “scuola napoletana”, potrebbe presumibilmente essersi imbattuto in questo suggerimento di Nathan la cui scuola discende dal Porpora!
Egli suggerisce una soluzione similare, ma basata su un’altra sequenza possibile di vocali, rispetto al Delle Sedie, cioè passare dalla I alla U alla O (nel crescendo) e viceversa dalla O alla U alla I (nel decrescendo):

«Se sottoponiamo l’aspirante cantante inesperto ad emettere una nota qualsiasi del registro di petto con voce forte, e lo facciamo diminuire il più possibile fino al pianissimo infinito, generalmente, raggiunto un certo limite di “smorzando”, terminato che sarà il dominio delle corde naturali, il discepolo, in particolare se ha una voce robusta, incontrerà tali difficoltà che la laringe dovrà resistervi violentemente contraendosi; e potendo più che la volontà, si verificherà improvvisamente per questo motivo l’inevitabile crac [spezzamento della voce], una rottura [del suono]; perché la voce incolta, lasciata persino indomita al suo libero arbitrio, non sa come trovare la via libera di penetrare senza incrinature nel dominio delle false corde che danno il pianissimo.
Una combinazione di vocali che obbliga la laringe a conservare la propria posizione, e che anche nei casi più difficili dà risultati infallibili, è la seguente: a tal discepolo si rompe la voce entrando nel pianissimo pronunciando A; non importa, escludiamola; non bisogna scoraggiarsi; invece di A useremo la O molto chiara e rotonda. Ma non appena ha termine la padronanza della voce forte, e man mano che andiamo a diminuire il suono, trasformeremo la O molto fluidamente e con una gradazione perfetta, quasi impercettibile, in U. Quindi, per entrare nel falsetto, sarà necessario un altro cambiamento, cioè: si passerà dalla U a I.
Questa serie di vocali combinate eviterà nella laringe ribelle il pericolo che, smorzato, il suono cada nella glottide, soffocandosi in essa. Al contrario, ci darà facilità ad ottenere la voce sempre maggiormente avanti, fino a morire sulle labbra, “a fior di labbro”, secondo l’espressione usata nella scuola antica. A conclusione di questa interessante manovra, si noterà, quando il suono cade sulla I nel pianissimo, che nonostante la grande quantità di aria che avremo usato nella traiettoria, il fiato rimanente viene distribuito con tale economia in questa vocale, che il discepolo sarà sorpreso della sua lunga durata senza sentire la minima fatica.»

(da: Francisco Viñas – “El arte del canto. Datos históricos, consejos y normas para educar la voz” – Barcelona: Salvat Editores, 1932 – Barcelona: Imprenta Grafos, 1963)

Viñas, come Delle Sedie, consiglia – prima di eseguire una completa “messa di voce” (<>) – di puntare alla risoluzione del diminuendo > passando dalla voce piena al pianissimo, senza tentennamenti nell’intonazione e senza perdere la proiezione del suono “avanti”, sempre ben a fuoco; ma fa precedere questo studio da un esercizio preparatorio: marcando un tenue rinforzo nel pianissimo “al fine di avviare la penetrazione o unione del falsetto con la voce naturale” come specifica egli stesso.
Una volta che si è trovata una concreta via sul proprio strumento per non “spoggiare” nel decrescere ci si potrà esercitare ad una completa “messa di voce” su nota lunga.

A conclusione, ecco alcuni interessanti ascolti, tratti da registrazioni di storici cantanti lirici del Novecento, di una “messa di voce” magistralmente eseguita all’interno del repertorio operistico, nel video youtube intitolato: MESSA DI VOCE, “placing of the voice” (Callas, Sutherland, Gedda et al.) – Female & Male voices – Selected examples from the operatic repertoire –

– Per maggiori approfondimenti sul tema si legga l’articolo del blog di Belcanto Italiano:
La “messa di voce” nel belcanto, dalla teoria alla pratica
La “messa in voce” dalla teoria alla pratica

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