Per la rubrica “Pillole di belcanto”, il pianista e direttore d’orchestra Mattia Peli firma un editoriale intitolato “La messa di voce”.
Che cos’è la “messa di voce”, si chiede Peli? È l’esecuzione, su una nota tenuta (molto lunga, lunga o medio-lunga), di un suono che partendo da PP (pianissimo) arriva, con un crescendo graduale, a un F/FF (forte/fortissimo), per poi ritornare, con un diminuendo graduale, al PP (pianissimo). In sostanza significa sostenere una nota tenuta passando gradualmente dal suono “filato” alla “mezza voce” alla “piena voce” (tre meccanismi vocali diversi) e viceversa.
Come si studia e come si arriva ad eseguirla in modo perfetto? È singolare il fatto – sottolinea Peli -che essa venga posta subito dal Rossini nel primo esercizio dei suoi “Gorgheggi e solfeggi” del 1827, ma bisogna dire che viene pure menzionata e spiegata prima e dopo di lui, in decine di trattati e documenti inerenti il canto, dal Seicento al Novecento, da maestri di canto, cantanti, critici e compositori: tuttavia molti, lungo i secoli, hanno sottolineato l’importanza del controllo del fiato, dimenticando che per eseguirla ad arte è necessario – contemporaneamente a una perfetta gestione del respiro – anche divenire ‘maestri’ nell’emissione vocalica, il che implica posizioni ed aperture della bocca differenti nel passare da una dinamica a un’altra.
Le migliori indicazioni pratiche, in tal senso, vengono suggerite – nei trattati dei secoli passati – da Mancini (nel Settecento, all’epoca dei grandi castrati come il celebre Farinelli), Delle Sedie (nell’Ottocento, in epoca verdiana) e Viñas (nel Novecento, in epoca verista).
Mancini suggerisce: 1. di non spingere con violenza il fiato (cosa che comunque non va fatta nemmeno cantando a “piena voce”, tanto meno andrà fatta attaccando una nota lunga nella dinamica di “pianissimo”); 2. di risparmiare il fiato, distribuendo la respirazione nella fase espiratoria con grande lentezza e gradualità; 3. di modificare l’apertura, nel crescendo da piano a forte, da “appena aperta” a più “aperta”. Non ci dice però che tipo di apertura precisa debba avere la bocca nel crescendo-diminuendo, ed è su questo particolare punto che interviene nel secolo successivo Delle Sedie, baritono ed amico di Verdi che suggerisce questa possibilità per l’esecuzione della “messa di voce”: vale a dire passare dalla E alla O alla A (nel crescendo) e viceversa dalla A alla O alla E (nel decrescendo).
Ancora più nel dettaglio entra il tenore Viñas, che nel suo metodo del 1932 si rifà alla scuola antica italiana addirittura citando Farinelli, che fu uno dei cantanti che maggiormente sapeva dominare in modo impeccabile e straordinario la “messa di voce”, anche per la lunghissima durata della nota tenuta ‘filata’ (<>) che egli sapeva eseguire. Egli suggerisce una soluzione similare, ma basata su un’altra sequenza possibile di vocali, rispetto al Delle Sedie, cioè passare dalla I alla U alla O (nel crescendo) e viceversa dalla O alla U alla I (nel decrescendo).
Viñas, come Delle Sedie – conclude Peli – consiglia, prima di eseguire una completa “messa di voce”, di puntare alla risoluzione del diminuendo, passando dalla voce piena al pianissimo, senza tentennamenti nell’intonazione e senza perdere la proiezione del suono “avanti”, sempre ben a fuoco; ma fa precedere questo studio da un esercizio preparatorio: marcando un tenue rinforzo nel pianissimo “al fine di avviare la penetrazione o unione del falsetto con la voce naturale” come specifica egli stesso. Una volta che si è trovata una concreta via sul proprio strumento per non “spoggiare” nel decrescere ci si potrà esercitare ad una completa “messa di voce” su nota lunga.

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