Il mondo del calcio è stato scosso, nelle ultime ore, da un presunto caso di razzismo occorso durante la partita PSG-Istanbul Basaksehir. Sembrerebbe infatti che il quarto uomo, l’arbitro rumeno Sebastian Coltescu, avrebbe riferito al direttore di gara Hategan di espellere Pierre Webo, vice-allenatore della squadra turca. Per indicare all’arbitro il nome del componente dello staff arancio-blu, però, Coltescu avrebbe detto “quel ragazzo nero”, con la parola nero che in rumeno è detta “negru”. La parola ha scatenato le ire della panchina, che probabilmente hanno presunto che nel termine fosse insita una denigrazione razziale e anche alcuni giocatori in campo, su tutti il centravanti senegalese Demba Ba, hanno cominciato a lamentarsi dell’atteggiamento del quarto uomo, chiedendo e – nei fatti – ottenendo il rinvio del match con una nuova squadra arbitrale. Molto finora è stato scritto al riguardo: c’è chi ritiene Coltescu un razzista senza se e senza ma, da condannare per direttissima; c’è chi difende l’arbitro sostenendo che abbia semplicemente usato il “segno particolare” più evidente per indicare all’arbitro l’uomo da espellere; c’è chi ritiene che l’errore non sia tanto nell’uso della parola “negru” quanto piuttosto nella mancanza di professionalità del non aver imparato i nomi delle persone che avrebbe dovuto arbitrare ieri sera in una partita della massima competizione calcistica mondiale per club. Impossibile dire, al momento, chi abbia ragione o chi abbia torto ma questo non ha fermato l’inarrestabile carrozzone della lotta al razzismo, che si è subito attivato per denunciare l’atteggiamento di Coltescu chiedendo seri provvedimenti come ormai si usa fare. Si ammetta anche per un solo minuto che l’intento del quarto uomo volesse puramente essere discriminatorio: chi potrebbe emanare una condanna? Certamente Webo in quanto “vittima”, certamente Demba Ba in quanto compagno di squadra della vittima, probabilmente i giocatori che per qualsiasi motivo siano stati almeno una volta vittima di offese legate all’aspetto fisico. Chi invece non dovrebbe essere in condizione di discutere di tali argomenti? Magari chi porta avanti politiche che con la tolleranza e il rispetto non c’entrano nulla. E invece è intervenuto, denunciando l’atto di “razzismo” addirittura il Presidente della Turchia Recep Erdogan. Già, l’uomo che ha più volte agito in direzione di una censura nei confronti della stampa avversa alla sua politica, il Presidente che ha ripetutamente negato il genocidio armeno perpetrato dai turchi e che sostanzialmente prosegue tuttora visto che è proprio la Turchia ad armare l’Azerbaigian nel conflitto per il Nagorno Karabakh, colui che ha interrotto il Gay Pride di Istanbul a suon di proiettili di gomma e lacrimogeni, oggi interviene a dare lezioni di antirazzismo. Il motivo è ben preciso e con la difesa dei diritti dei neri non c’entra nulla: il fatto è avvenuto ai danni della sua squadra del cuore – salita improvvisamente in testa alle classifiche turche dopo la sua ascesa alla Presidenza della Repubblica – in terra francese, ovvero in casa di quel Macron che più duramente degli altri si sta opponendo a un ingresso della Turchia nella già fatiscente Unione Europea. Erdogan vuole interessarsi di diritti civili? Benissimo, benvenuto nel nostro Occidente dove fa discutere anche una parola di un quarto uomo. Ma se uno vuole ergersi a difensore di certe cause, dovrebbe iniziare a essere rispettoso lui stesso dei diritti dei popoli e delle etnie. Magari smettendo di massacrare gli armeni, rei solo di essere dei cristiani circondati da islamisti.

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