Nell’892, l’imperatrice longobarda Ageltrude, figlia di Adelchi e moglie del duca Guido di Spoleto, all’epoca re d’Italia e Imperatore dei Romani, fece cominciare i lavori per costruire il monastero di Rambona. Nell’894 l’imperatore morì e gli succedette il figlio Lamberto II, ma la costruzione dell’abbazia continuò per terminare nell’898. Si pensa che essa sia stata eretta sul luogo dove sorgeva un tempio consacrato alla dea romana Bona (nome rimasto anche oggi nel suffissoide della località), ragione per la quale la badia è uno splendido esempio di riuso dei materiali, poiché molti particolari architettonici utilizzati durante la sua costruzione provengono quasi certamente proprio dal tempio romano suddetto.

Sembra che il cenobio fosse fortificato, una sorta di cittadella all’interno della quale i monaci benedettini vivevano in pace e in una sorta di autarchia, protetti dalla famiglia imperiale che in quel periodo poteva vantare anche un papa, Stefano VI (per alcuni storici Stefano VII). E’ quindi molto probabile che l’abbazia possedesse un importante tesoro, sparito durante il saccheggio del 1443 per opera d’un capitano di Francesco Sforza, che rase in praticamente al suolo il monastero lasciandoci soltanto il presbiterio e la cripta, i soli ambienti che sarà possibile vedere quando riapriranno al pubblico poiché sono stati pesantemente feriti dal terremoto del 2016.

L’unico reperto rimasto del tesoro della badia è il cosiddetto “Dittico di Rambona”: si tratta di due tavole in avorio mirabilmente intagliato di circa 31 x 27 cm, probabilmente commissionate dal primo abate del cenobio, tale Olderigo, per essere utilizzate come legatura di un codice miniato del quale avrebbe costituito il piatto anteriore e quello posteriore. La curiosità di questi manufatti eburnei, risiede nel fatto che sono piuttosto sottili, segno che in precedenza furono utilizzati, poi raschiati e di nuovo incisi per eseguire il lavoro richiesto da Olderigo. Vi sono rappresentati una crocifissione con il Cristo vivente e una Madonna in maestà con accanto due angeli a sei ali (serafini appartenenti alla prima gerarchia degli angeli) e i tre santi titolari della badia e cioè San Flaviano, San Silvestro e San Gregorio Magno. La completano le figure personificate della luna e del sole e una lupa allattante Romolo e Remo che digrigna i denti, simbolo della giustizia papale.

L’avorio utilizzato per la sua realizzazione era al tempo un materiale preziosissimo con una simbologia religiosa ben precisa: emblema di purezza, evocava la perpetua verginità di Maria e attraverso l’evocazione della Torre d’Avorio, richiamava lo spazio metafisico della santità lontano dalla realtà quotidiana.

In origine nella collezione Buonarroti a Firenze, il notevole manufatto è oggi visibile nel museo sacro della biblioteca apostolica in Vaticano.

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