Recanati – L’adozione del sistema metrico decimale nella nostra penisola avvenne con un’apposita legge nel 1861, subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Antecedentemente, la frammentazione in tanti piccoli stati, generava grossi problemi relativamente alle unità di misura; durante il medioevo, in età comunale, la cosa era ancora più complicata dato che in pratica ogni città era dotata delle proprie unità di lunghezza, peso e capacità di liquidi e aridi. Ciò creava discrepanze, contraddizioni e malintesi soprattutto nel settore del commercio extracomunale, ciò che oggi chiameremmo import-export. Si pensò quindi di adottare tabelle di conversione che risultarono confuse e poco precise, come anche gli strumenti di misura che spesso erano falsificati da abili truffatori.
In alcune città, come ad esempio Recanati, il comune affidò il controllo della correttezza nelle transazioni commerciali alla fraternita dei mercanti: un’apposita commissione di consoli vegliava sulle compravendite, soprattutto durante i mercati e le fiere, controllando che le condizioni contrattuali fossero rigorosamente rispettate, che le tabelle di conversione fossero giustamente interpretate e che gli strumenti di misurazione fossero quelli legalmente riconosciuti nel territorio. Per ovviare al problema della falsificazione, tanti comuni resero accessibili i campioni di misura ufficiali esponendoli nei luoghi di mercato o su edifici pubblici rappresentativi. Per le misure lineari in genere si trattava di spesse lapidi, murate per evitarne il furto, oppure di semplici incisioni nelle quali spesso erano incastonate barre metalliche graduate o meno. Per i pesi o le capacità, si ricorreva a campioni in metallo o legno trasportabili e certificati posti sotto la custodia vigile di funzionari la cui specchiata onestà non era in discussione. In molti casi esistevano anche le sagome esatte di tegole, coppi, mattoni e quant’altro: si poteva trattare di campioni tridimensionali, di semplici sagome incise, oppure di dime scavate in lastre di pietra. L’uso di murare le dime, cominciò nel XIV secolo e si protrasse almeno fino al XVII secolo. Come sapere dunque a che epoca risale uno di questi strumenti? Dobbiamo per questo ricorrere alla mensiocronologia, un metodo di datazione piuttosto recente basato su elaborazioni matematiche che studia le misure dei materiali edili, mattoni in primis, ma anche coppi e conci. Una delle regole fondamentali per situare cronologicamente un mattone è che le dimensioni si riducono col passare dei secoli, poiché si vendevano al pezzo e quindi i fabbricanti avevano tutto l’interesse a diminuire la quantità di materia prima riducendo in proporzione le misure. Bisogna anche tener conto che le sagome ufficiali afferiscono a laterizi crudi e stagionati perché sarebbe stato impossibile standardizzare quelli cotti data l’impossibilità di conoscere le temperature di tiraggio nei forni a legna che potevano variare di lotto in lotto in base al materiale utilizzato, alle temperature stagionali, all’umidità atmosferica ecc. Anche per tale motivo, i comuni tolleravano variazioni fino a 5-10 mm. A quanto ne so, a Recanati di queste dime ne abbiamo due: la più piccola (foto 1) è situata sull’angolo sinistro della torre civica (guardando l’orologio) sul lato che da su corso Persiani. E’ a 246 cm. dal piano viabile, cosa alquanto strana poiché dovrebbe essere più accessibile: ciò mi porta a fare la considerazione che con tutta probabilità essa è stata posta in quella posizione in un periodo storico durante il quale la dima non era più utilizzata e quindi posteriormente al 1600. Dov’era collocata originariamente resterà un mistero; la vicinanza con l’ubicazione del vecchio palazzo dei Priori, che si appoggiava appunto alla torre civica sul lato dov’è attualmente l’orologio, mi fa pensare che la dima potrebbe essere stata prelevata dalle sue mura giacché fu più volte ricostruito a causa di incendi e definitivamente abbattuto nel 1872 per far posto all’attuale piazza Giacomo Leopardi. Essa è scavata in un concio in pietra d’Istria, lungo 66 cm. (data l’altezza cui è collocata le misure sono indicative) alto 26 cm. e largo 40 cm. L’unico incavo è rettangolare lungo 32 cm. alto 15 cm. e profondo 8 cm. Si trattava quindi di un mattone piuttosto grosso il che fa pensare che la dima possa risalire al XIV secolo, XV al più tardi e nonostante questo è in ottime condizioni.
La seconda è collocata sull’angolo della parete di sinistra della chiesa di Sant’Agostino, su via Calcagni. In questo caso si tratta di un grosso concio in arenaria (foto 2) pesantemente deteriorato, cosa piuttosto logica dato che tale pietra è abbastanza fragile e risente sensibilmente dell’usura dovuta agli elementi atmosferici. Esso è posto a 67 cm. dal piano viabile e quindi perfettamente abbordabile. Misura 83,5 cm. di lunghezza, 112 cm. di altezza ed è largo 36 cm. Gli incavi sono due entrambi misurano circa 21 cm. di lunghezza e altrettanti di altezza e sono profondi dai 7 agli 8 cm. Si tratta di un mattone abbastanza classico in voga nel XIV secolo. Se dovessi fare un’illazione, la dima è probabilmente stata collocata durante il restauro della chiesa avvenuto nella seconda metà del 1300, contemporaneamente alla costruzione della Cattedrale di San Flaviano. L’accessibilità e la collocazione del manufatto fanno pensare che esso è li da sempre, contrariamente a quello posto sulla torre civica. I campioni dimostrativi delle misure locali più rappresentativi, si trovano in varie città d’Italia: Bologna, Modena, Rimini, Assisi, Città di Castello e Perugia giusto per elencarne alcune a noi più vicine. Molto spesso accanto ad essi compaiono anche i nomi locali del laterizio: messana, tavella, megianela, quadruccio. Oppure quelli delle misure: piede, mesura di coltello spontato (probabilmente riferito alla lunghezza di un’arma bianca detenibile senza uno speciale permesso), braccio di lana e seta, passo da legne et da pallate (per opere di carpenteria) o ancora il suggestivo mesura d’archebugio che si riferiva alla lunghezza minima delle armi da fuoco che non dovevano essere facilmente occultabili per evitare che fossero utilizzate in imboscate e ruberie.

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