Recentemente è morto il grande calciatore Paolo Rossi, e i miei ricordi vanno immediatamente al quel 1982 in cui l’Italia vinse i mondiali di calcio, e io mi riversai insieme ai miei familiari nelle vie di Portorecanati, gremite di persone che si davano ai festeggiamenti. L’inizio degli anni Ottanta è un periodo difficile, e la lunga scia di morti degli anni di piombo iniziata con la morte del giovane poliziotto Antonio Annarumma nel novembre del 1969, era oramai lunga e annoverava persone dal profilo ideologico molto vario, che andava dalla sinistra estrema del ricco imprenditore comunista Giangiacomo Feltrinelli, all’ estremista di destra di origine africana (il padre era eritreo) Giorgio Vale, che ha trovato la morte, in circostanze non molto limpide, proprio in quel 1982.
La strage di Bologna del 2 agosto 1980 provocava 85 morti e 200 feriti, mentre poco prima vi era stata la caduta del DC-9 dell’Itavia vicino ad Ustica in circostanze ben poco chiare. Ci si trovava in piena guerra fredda con una Unione Sovietica ancora pericolosissima e in grado di influenzare vaste aree del pianeta.
Il mondo bianco in Africa era in piena ritirata, incalzato dal nazionalismo africano spesso intriso di marxismo; come ci ricorda Stefano Andreani nel suo libro Breve storia della Rhodesia “nel 1980, 15 anni dopo l’UDI (acronimo di Unilateral Declaration of Indipendence) e in seguito ad una sanguinosa guerra (razziale, civile?) il cui esito fu deciso dalla diplomazia internazionale, la Rhodesia nemmeno nominalmente esisteva più: si costituiva al suo posto lo Zimbabwe africano si Robert Mugabe, e successivamente avvenne il collasso del Paese”.
Sempre Stefano Andreani nel surriferito libro ci ricorda che “nel 2000, il regime del presidente Mugabe (al potere dal1980, prima come premier, poi come presidente) ordinò una sanguinosa campagna per l’esproprio illegale delle terre degli agricoltori bianchi rimasti utilizzando i propri veterani della guerra rhodesiana e criminali comuni, generalmente impiegati per minacciare o far sparire i dissidenti neri. Le terre vennero ridistribuite, ma non al popolo, bensì agli amici o ai soci in affari del presidente Mugabe”.
Roberto Cavallo in un capitolo, del libro scritto con Giuseppe Brienza e Omar Ebrahime dal titolo Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica scrive, “tanto per capirci, speriamo che l’esempio del vicino Zimbabwe del dittatore Robert Mugabe non faccia scuola, come qualche giovane protagonista della politica sudafricana invece auspicherebbe. Lì, insieme ai bianchi, sono stati cacciati la prosperità (se non la ricchezza) e, con buona pace dell’intellighentsia benpensante, anche la sicurezza e i diritti umani. Lì le violenze, oltre che genericamente sui “bianchi”, si sono abbattute, terribili, sui “neri” rivali”. Ebbene si, perché in Africa australe la situazione si è fatta molto calda per le popolazioni di origine europea, dopo il crollo della presenza portoghese in Mozambico e Angola e la dissoluzione della Rhodesia. Lo stesso Sudafrica in cui la minoranza bianca è più numerosa rispetto ad altre aree del continente africano, oggi soprattutto quella delle zone rurali, non si trova in condizioni tranquillizzanti, e se non vi è ombra di dubbio nel definire l’apartheid qualcosa di profondamente inaccettabile e intollerabile sotto ogni profilo, bisogna ricordarsi come riportato dai tre autori (Giuseppe Brienza, Roberto Cavallo e Omar Ebrahime) del libro sopracitato (Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica) “le ombre che hanno accompagnato la fine dell’apartheid (dal dilagare della criminalità e dell’Aids alle scelte abortiste ed omosessualiste del nuovo Sudafrica) e, infine, la collocazione geopolitica di un Paese che si interroga sul suo destino dopo la morte, avvenuta il 5 dicembre 2013, del padre della sua emancipazione”. Tuttavia l’onda lunga del marxismo degli anni Settanta iniziava a mostrare alcune crepe, che verso i primi anni Novanta indusse l’allora segretario del P.C.I. Achille Occhetto alla fondazione del Partito Democratico della Sinistra.
L’inizio degli anni Novanta si caratterizzarono per il crollo dell’Urss. Il P.C.I. nel 1976 raggiunse il suo massimo successo elettorale arrivando al 34,3% dei consensi, ma dopo tale data iniziò il suo inesorabile declino, forse anche a causa della presa di coscienza da parte dello stesso proletariato urbano del fallimento dei modelli comunisti realizzati nel mondo. Tuttavia il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi comunisti satellite del Patto di Varsavia, pur avendo aperto gli occhi agli occidentali più avveduti che da questo momento in avanti difficilmente si sarebbero fatti abbindolare da propositi, dimostratisi disastrosi, quali l’abolizione della proprietà privata e la centralità dell’economia intesa come struttura della società, non ha determinato la definitiva scomparsa della visione comunista in alcuni paesi, come per esempio la Cina, in cui il Partito Comunista cinese per evitare di seguire il destino dell’Urss scende a patti con l’economia di mercato in un miscuglio di capitalismo e comunismo digitale, che come ci ricorda Carlo Pelanda su La Verità del 6 dicembre 2020 “esercita il controllo su ogni individuo – via penetrazione nei mezzi elettronici – a cui assegna un punteggio di buona condotta dal quale dipendono i migliori lavori”. Tuttavia il marxismo seminato in mezzo pianeta dagli abili oratori parolai degli anni passati sta anche oggi producendo i suoi frutti indigesti, e anche in Occidente, infatti ci ricorda Marcello Veneziani nel suo libro Imperdonabili “nell’Ideologia tedesca, Marx dichiara che il fine supremo del comunismo “è la liberazione di ogni singolo individuo” dai limiti locali e nazionali, familiari e religiosi, economici e proprietari. Gli individui, scrive Marx, “prendono parte della società in quanto individui”. Non le comunità, le famiglie, le tradizioni, solo gli individui.
Il giovane Marx onora un solo santo e martire nel suo calendario: Prometeo, l’individuo eroico e liberatore”. Ecco quindi che il marxismo nella sua componente individualista si propaga nel mondo occidentale e vi attecchisce iniziando proprio nel cuore ideologico degli anni Settanta italiani a dare man forte alle iniziative del piccolo Partito Radicale (originatosi da una scissione a sinistra del Partito Liberale), promotore delle due leggi sull’aborto e il divorzio che avranno effetti nefasti sulla famiglia e sulla natalità, e che saranno pesantemente criticate dal lucido marxista eretico Pier Paolo Pasolini, ma che il Pci dal rivestimento collettivista , ma dal cuore individualista (che quindi iniziò timidamente, ma non troppo, a palesarsi ben prima del passaggio a Pds) si apprestò ad appoggiare. L’italianizzazione del marxismo-leninismo in Italia ha trovato il suo grande artefice in Antonio Gramsci che nel 1918 insieme a Tasca e Togliatti realizzeranno la rivista di marxisti gentiliani “L’ordine Nuovo”. Ovviamente i riferimenti gramsciani a Gentile in breve cesseranno, in quanto nel frattempo egli sarà divenuto il filosofo del fascismo. Giovanni Gentile nel 1923 realizzerà una importante riforma scolastica il cui elemento centrale sarà costituito dalla centralità del merito; tale riforma nella sostanza rimarrà in piedi anche dopo la caduta del fascismo, ma verrà progressivamente erosa, fino ad arrivare alle nefandezze del sessantottismo.
Il filosofo idealista Giovanni Gentile verrà ucciso come ci ricorda Il Primato Nazionale del dicembre 2020 “mentre rincasava, disarmato, il 15 aprile 1944. Palmiro Togliatti, nominato da un solo giorno ministro del nuovo Governo Badoglio, il 23 aprile dalle colonne de L’Unità elogiò l’assassinio del filosofo definendolo “bandito politico”, “camorrista, corruttore di tutta la vita politica italiana”. Era tutto il contrario, Gentile”. Roberto Bonuglia nel surriferito articolo ci ricorda, che ancora oggi a Firenze vi è una via dedicata non alla vittima, bensì all’attentatore. Tutto ciò mentre a Reggio Emilia, ci ricorda Francesco Borgonovo, su La Verità del 4 dicembre 2020 “si contano, tra le altre, via Che Guevara, la già citata via Tito, via Rivoluzione d’Ottobre, via Stalingrado e persino via Lenin”. La stessa città di Reggio Emilia che ha conferito il nome di vie a Lenin e Tito ha avuto difficoltà a dedicare una via alla medaglia d’oro Norma Cossetto, infatti come ci ricorda Borgonovo nel surriferito articolo, “uno dei componenti della commissione, lo storico Massimo Storchi, si è messo di traverso”. Va ricordato che al momento di dedicare la via alla giovane donna ventitreenne infoibata, il Partito Democratico si è astenuto, ma Liberi e Uguali ha addirittura votato contro; segno evidente che la sinistra sempre pronta alla tutela delle donne, lo è un pò meno se non sono in linea con i suoi parametri ideologici. D’altronde la sinistra che ha sempre manifestato nel dopoguerra una forte egemonia culturale si trova a disagio a trattare l’argomento foibe, sottostimato per moltissimo tempo. Ci ricorda Antonio Socci nel suo libro Traditi sottomessi invasi “lo ha raccontato Giampaolo Pansa: Sfuggiti al comunismo jugoslavo, gli esuli ne incontrarono un altro, non meno ostile. I militanti del Pci accolsero i profughi non come fratelli da aiutare, bensì come avversari da combattere…….
Pure ad Ancona i profughi ebbero una pessima accoglienza. L’ingresso in porto del piroscafo Toscana, carico di settecento polesani, avvenne in un inferno di bandiere rosse. Gli esuli sbarcarono protetti dalla polizia, tra fischi, urla e insulti”. Quanto sopra esposto è sufficiente a spiegare l’estremo imbarazzo di una certa sinistra a trattare l’argomento della medaglia d’oro Norma Cossetto; non solo, mette in luce anche lo “sguardo sghembo” della sinistra che si straccia le vesti per i migranti allogeni, ma nel suo passato non si è mostrata molto comprensiva nei confronti di chi fuggiva dal “Paradiso comunista”. L’umanitarismo della sinistra, per lo meno dal punto di vista storico, è difficilmente definibile incondizionatamente universalistico o cristianamente caritatevole, mentre assume più i tratti del filantropismo interessato al raggiungimento di determinati obiettivi politici , tra i quali, la trasformazione della comunità nazionale in un insieme di individui slegati tra loro da vincoli di appartenenza ma ben disposti ad essere figli del proprio tempo.

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